Descrizione
"Da ragazzina ho sempre scarabocchiato. Lo facevo sui muri e con il carbone perché non avevo la matita. E con la terra realizzavo dei piccoli pupazzi....". (A. Scipione)
Annunziata Scipione nasce nel 1928 a Tossicia, in provincia di Teramo.
Casalinga, contadina, illetterata si dedica all’arte da autodidatta. Ha incominciato nel 1968 scolpendo legno locale; nel 1972 è passata alla pittura. Ha partecipato a sette edizioni del Premio Nazionale dei Naïfs di Luzzara, venendo premiata in quella del 1977-1978. Due suoi quadri sono stati prescelti per celebrare in tutta Italia l'Anno Santo 1983-1984. Le sue opere sono state presentate a Londra, Parigi e altrove, e figurano in collezioni private e in vari musei di arte moderna. Numerose le partecipazioni a mostre e premi.
Ha incominciato nel 1968 scolpendo legno locale; nel 1972 è passata alla pittura.
Ha partecipato a sette edizioni del Premio Nazionale dei Naïfs di Luzzara, venendo premiata in quella del 1977-1978. Due suoi quadri sono stati prescelti per celebrare in tutta Italia l'Anno Santo 1983-1984.
L'artista contadina è ritenuta "una delle più grandi pittrici naïf italiane le cui opere sono esposte nel Museo Nazionale Arti Naïves di Luzzara, accanto ai capolavori di un certo Antonio Ligabue" , del quale è, da molti, considerata erede spirituale, per volontà di Cesare Zavattini, suo grande estimatore.
Il Comune di Tossicia le ha dedicato una sala del Museo Etnografico che ospita una importante collezione della pittrice e alcune opere dell'artista Antonio Ligabue.
Annunziata Scipione muore il 24 aprile 2018.
Grazie alla sua illustre presenza, nel 2001 gli abitanti di Azzinano decisero di rilanciare il borgo abbellendo le facciate delle case con murales seguendo un tema specifico: la rappresentazione dei giochi dei nostri padri e dei nostri nonni. Dai dadi al nascondino, da mosca cieca al gioco della campana, dalla trottola agli aquiloni, espressioni di una tradizione contadina dove il gioco era sempre un’esperienza spensierata vissuta all’aria aperta in compagnia di amici, di pochi, semplici oggetti e di tanta fantasia.
Il centro storico è affrescato da meravigliosi murales naïf che raccontano i giochi di una volta. Una galleria d’arte a cielo aperto che ogni estate si arricchisce di nuove “tele” dipinte frutto dell’estro di tanti artisti provenienti da tutta Italia.
Oggi il borgo di Azzinano è un vero e proprio paese dipinto che ha per tetto il cielo, un museo all’aperto visitabile gratuitamente ogni giorno dell’anno ad ogni ora del giorno, a mano a mano che l’intensità dei colori sulle pareti muta al mutar della luce. È annoverato nel Club nazionale dei Paesi Dipinti come “La Luzzara della Valle Siciliana” e i suoi muri vengono descritti come “Muri d’Autore”, meta di numerosi visitatori che rimangono stupiti al cospetto di questa variopinta tavolozza che si confonde all’orizzonte con l’articolato e suggestivo scenario del Gran Sasso.
Di seguito un'intervista tratta dalla monografia pubblicata nel 1985 “L’arte naif di Annunziata Scipione. Pittrice della Valle Siciliana. ” di Padre Natale Cavatassi e Giammario Sgattoni, pubblicata nel 1985
Annunziata, si ricorda quando ha iniziato a disegnare?
«Non so quando di preciso, potrei dire di esserci nata con il desiderio di dipingere. Da ragazzina ho sempre scarabocchiato. Lo facevo sui muri e con il carbone perché non avevo la matita. E con la terra realizzavo dei piccoli pupazzi. Erano tutte cose che poi si buttavano. Insomma, finiva lì. Ma dipingere, beh, non si può dire
che io l’abbia fatto dall’inizio. Una volta si doveva andare a lavorare la terra, non si aveva tempo per fare altro...».
Cosa si divertiva a rappresentare nei suoi disegni?
«Erano sempre gli stessi soggetti, glielo dico: il cane, il gatto e le signorine... Nient’altro, per la verità. Poi ho cominciato a disegnare anche le persone che avevo intorno, per primi i miei genitori».
In che momenti della giornata disegnava?
«Non era facile trovare il tempo, glielo assicuro. Si doveva lavorare la campagna. Dalla mattina alla sera. Cogliere le olive. Mietere il grano. Andare con le pecore. Eravamo sette figli, uno maschio e tutte femmine. E il maschio non c’era quasi mai perché veniva richiamato in guerra. Lo facevo di nascosto».
Di nascosto anche da suo marito?
«Quasi di nascosto. Prima ancora di dipingere, realizzavo queste piccole statue in terracotta e in legno (le indica nella stanza, ndr). Il materiale lo prendevo dagli scarti di legno, destinati alla stufa, che riportava a casa mio marito. Il quale, poi, scoprì queste cose e iniziò a procurarmi lui stesso il materiale per farle».
Si ricorda invece quando iniziò a dipingere?
«Iniziai a dipingere su tela quando un pittore di Tossicia, che viveva a Roma e poi tornò da queste parti,commentando le cose che facevo con mio marito, disse che c’era la mano di Van Gogh. Mi suggerì di cominciare su tela. Mi misi a ridere. Io lo facevo per gioco. Le donne di quell’epoca queste cose non le
facevano... Facevano la calza, sì, ma non dipingevano. Comunque andò a finire che comprai due tavole da un falegname di Montorio e provai».
Suo marito rimase impressionato da ciò che realizzava?
«Mio marito disse solo che voleva far vedere i quadri. Se sono validi, diceva, continui. Altrimenti, lasci.
Ricordo che li facemmo vedere al professor Tonino Di Nicola, di Castelli, che rimase sorpreso. Voleva tre di
quei quadri e mi chiese il prezzo. Mi offrì trentamila lire. Dopo quell’episodio, io e mio marito andammo a
Montorio a comprare delle tele e dei colori. Prendemmo quelli essenziali, non eravamo capaci neanche di
sceglierli perché non li conoscevamo».
Si ricorda chi acquistò le sue prime tele?
«Ricordo che la prima tela, realizzata dopo quell’acquisto, fu comprata da Giancarlo Giannini».
Che cosa prova quando dipinge?
«Cosa provo? Io provo tutto. In fondo, nessuno mi aveva detto nulla. L’ho fatto di mia prepotenza. È una cosa che mi è sempre piaciuta. E ogni quadro ha la sua storia perché io ho dipinto quello che ho visto intorno a me e quello che ho vissuto e ancora adesso ricordo: il bosco, la campagna, la vita dei contadini, queste cose ho dipinto».
Quando capì che le sue opere piacevano?
«Quasi subito. Con le prime mostre».
Che tecnica ha utilizzato nelle sue opere?
«Nessuna tecnica, no. E non ho mai disegnato il soggetto prima di dipingere. Ho sempre iniziato subito con il pennello, direttamente. Una volta si andava a scuola con una borsa di pezza fatta da noi stessi e forse un foglietto. Non c’erano neanche le matite».
Che pensa del suo talento? Si è chiesta da dove nasce?
«Non saprei dirlo, è venuto da sé».
Si è mai confrontata con le opere di altri pittori?
«Sì, ne ho conosciuti tanti e ho visto i loro quadri, devo dire che mi sono sempre piaciuti più dei miei...».
(Risate).
Che direbbe a chi ha un talento come il suo?
«Di non lasciare, di continuare. Potrebbe diventare una cosa vera, come è successo a me senza quasi
essermene accorta».
Rispetto a una volta, secondo lei, la vita che viviamo oggi com’è?
«La vita in questi ultimi tempi, come sappiamo tutti, è peggiorata. Ma noi, in passato, non eravamo felici. Lo eravamo quando si giocava, sì. Ma in campagna io non ero contenta. Andavo con le pecore. Mio fratello era in guerra. Si lavorava tanto. Ricordo per esempio che per andare a prendere l’acqua si doveva fare tanta strada... Ricordare quel periodo è bello, si ricorda la gioventù, ma la vita non era facile