Descrizione
Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio sono piccole e saporite, di colore più scuro rispetto alle altre varietà.
Dove si produce: è coltivata esclusivamente su terreni situati fra i 1150 e i 1600 metri s.l.m. alle pendici del Gran Sasso, facenti parte del territorio dei comuni di Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Barisciano, Castelvecchio Calvisio e Castel del Monte, tutti in provincia di L’Aquila. Si tratta di una zona di montagna, costituita da terreni marginali, sui quali, per le particolari condizioni pedoclimatiche, non si applicano interventi chimici sulle colture: è garantita così la massima genuinità dei prodotti.
Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio si raccolgono nel mese di agosto, ma si consumano essiccate e quindi sono disponibili tutto l’anno. Non hanno bisogno di stare in ammollo prima di essere consumate, sono di rapida cottura e si mantengono integre una volta cotte. Basta coprirle con acqua e aggiungere spicchi d’aglio scamiciati, qualche foglia di alloro, sale, olio extravergine e portare quindi a leggera ebollizione, a pentola chiusa. Sono utilizzate prevalentemente per la preparazione delle calde e gustose zuppe abruzzesi o come condimento per le "sagne a pezze" o "tacconelle" pasta fatta in casa della tradizione.
Allo scopo di mantenere viva la memoria storica di quest’antica coltivazione e di far conoscere il prodotto tipico, da circa trenta anni a Santo Stefano di Sessanio, la prima domenica di settembre viene organizzata la sagra delle lenticchie.
Un tempo considerati “carne dei poveri”, i legumi negli ultimi anni sono stati oggetto di un rinnovato interesse e oggi sono apprezzati per le caratteristiche nutrizionali, fondamentali per l’alimentazione, con una conseguente rivalutazione dei piatti popolari della tradizione regionale. Alcuni documenti storici (Chronicon Vulturnense) risalenti all’epoca medievale e aventi per riferimento il monastero di San Vincenzo al Volturno, che a quei tempi possedeva ampi territori nella zona aquilana, attestano che in quell’area venivano coltivati i legumi. Nell’ampio contratto di livello del 998 d.C. relativo alle proprietà di Tussio, Carapelle e Trita (Valle del Tirino) si fa esplicito riferimento ai legumi locali. Ciò fa desumere che a quel tempo i legumi rivestissero già il ruolo di colture di pieno campo, e quindi economicamente importanti tanto da essere sottoposti al canone livellario. Notizie più recenti delle coltivazioni nella zona aquilana di ceci, lenticchie, fagioli e altre “civaie” (legumi in genere) si hanno con R. Quaranta (1885) e T. Bonanni (1888). Attualmente i produttori sono riuniti sotto un Presidio al fine di garantire il consumatore da eventuali frodi, aumentare le coltivazioni, offrire un’opportunità di sviluppo e una possibilità per i giovani di rimanere su un territorio straordinario. Fa parte dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT).