Descrizione
Il gioiello della tradizione popolare abruzzese illumina le donne, protegge i piccoli, attira prosperità e benessere, accompagna la vita nel suo sorgere, nel suo fiorire, nel suo appassire.
Croci processionali, ostensori, busti, reliquiari, calici, decorati da gemme e smalti, tuttora conservati ed esposti in chiese e musei sono i capolavori dell'oreficeria sacra abruzzese di Sulmona, Guardiagrele, L’Aquila, Teramo che ebbe con Nicola da Guardiagrele operante per tutto il XV secolo, la sua massima fioritura.
Già nel XVIII secolo il gioiello popolare, divenuto accessibile ai ceti meno abbienti e magistralmente raccontato da grandi artisti abruzzesi come Francesco Paolo Michetti, Basilio Cascella, Pasquale Celommi o viaggiatori stranieri in terra d'Abruzzo come Estella Canziani, prevalse sulla creazione di oggetti sacri.
L'oro utilizzato era in genere a bassa caratura, perché meno costoso, e la tecnica era quella della filigrana che permetteva di realizzare manufatti leggerissimi di grande effetto decorativo con pietre come madreperla, corniole, granati e perle che in molti casi erano false, cioè di vetro e corallo.
L’argento di piccoli globi e mezzelune tintinnanti era utilizzato per allontanare il male con l'influsso della luna della quale rappresenta un simbolo mentre auspicio di prosperità e fertilità era invece l'oro, simbolo dell'astro solare e del grano che generano e custodiscono la vita.
A complemento dell'abbigliamento venivano utilizzate grappe e ciappe (fibbie e fermagli per gonne e corpetti), fermagli per mantelle da uomo, fibbie per scarpe, borchie per cinture, spilloni per il copricapo femminile, ciondoli a spilla come l'amorino simbolo dell'arte orafa scannese.
C'erano poi tutta una serie di oggetti di uso non personale che venivano scambiati tra i fidanzati come amuleti o accessori per i lavori di cucito e ricamo. Uno di questi era il "punteruolo" utilizzato per far passare negli occhielli del busto il laccetto per stringerlo, in argento per le fidanzate e d'oro per le donne sposate, la "pigna", un fermaglio passafilo per far scorrere il filo nel lavoro a maglia che poteva essere a forma di angioletto, cuore, Madonna. Legato al contesto nuziale era anche un altro oggetto particolare "l'odorino", (i'addurine) una piccola anfora utilizzata per contenere profumi che a Scanno era protagonista di un' usanza molto rispettata, la serenata del fiore, la teca, una piccola scatoletta con coperchio a pressione. Tra gli strumenti più utili aghi, ditali, ferri per calza e il "pulizza-recchie" (pulisci-orecchie).
A Pescocostanzo (AQ) veniva realizzata invece una particolare cintura di cuoio rivestita di velluto rosso sulla quale venivano inserite borchie d'argento lavorate a traforo derivato probabilmente dall'uso medievale di regalare alla sposa la cintura nuziale.
La trasmissione ereditaria dell'oro è sempre avvenuta per linea femminile, da madre a figlia, da nonna a nipote, da suocera a nuora e spesso entrava a far parte della "dote", spesso in occasione delle nozze. Per "la conoscenza" dello sposo e della sua famiglia a casa della futura sposa l'uomo portava alla donna un paio di orecchini ed un ciondolo mentre il giorno del fidanzamento recava in dono "l'anello a scudo" sul quale erano incisi i nomi degli sposi o di uno di essi o "la Presentosa", ciondolo medaglione a forma di stella con uno o due cuori al centro, contornati da spiraline in filigrana o in cordellina semplice, uno dei gioielli più tipici e famosi della tradizione orafa abruzzese descritto da Gabriele D'Annunzio nel romanzo "Il Trionfo della morte" del 1894 che deve il suo nome da "presentenze" (rappresentanza oppure presentazione del fidanzamento). I luoghi di produzione più antichi sono Agnone (fino al 1811 in territorio abruzzese) e Guardiagrele (CH) fino a diffondersi in area frentana, peligna e nell'aquilano. Altri importanti centri di produzione divennero L'Aquila, Sulmona, Pescocostanzo e Scanno. I modelli di Pescocostanzo e di Scanno (AQ) sono gli unici ad essere realizzati in filigrana vera e propria. Il motivo simbolico per eccellenza è il cuore riprodotto al centro del medaglione in diverse varianti, cuori uniti, cuore singolo, cuori accompagnati da lacrime o da sangue, da fiamme ardenti oppure uniti da una chiave. A Pescocostanzo prevale la Presentosa con un solo cuore. Questo ciondolo poteva essere donato anche in occasione della prima comunione e in quel caso riportava al centro la colomba dello Spirito Santo o in altre particolari circostanze come l'inizio di una nuova vita che spesso era preceduta da una lunga trasversata e in quel caso portava al centro una nave. La Presentosa, uno dei simboli identificativi della regione fu donata alle first ladies presenti al G8 del 2009. Dono di fidanzamento caratteristico a Scanno era "u catinelle", un pendente ovale apribile, utilizzato per conservare i capelli del fidanzato durante lunghe assenze per lavoro o in guerra.
Secondo la leggenda a Rapino viveva una regina arrivata da molto lontano, forse Ceria Giovia, forse Maia, la Grande Madre, la più bella delle Pleiadi seguita da uno stuolo di amazzoni, le Majellane. Il tintinnio delle gigantesse si poteva udire da lontano perché agli orecchi indossavano le "sciacquajje, i più tipici e antichi a navicella con tre, cinque o sette pendenti costituiti da frammenti di metallo, perline di fiume o coralli. Nell'Ottocento gli orecchini più diffusi erano d'oro a cerchio, a conocchia, con uno o più pendenti, d'oro con rubini, d'oro a lumaca, a crognaletti, alla Pompeiana con grappoli d'uva, a foggia di canestrini e infine quelli da lutto, cioè orecchini d'oro con pietre nere, che si sostituivano al normale orecchino per tutto il periodo del lutto della durata di tre anni. Erano frequenti anche orecchini d'oro maschili, considerati protettori della vista ed utilizzati da marinai e contadini.
La notte di capodanno il fidanzato faceva una serenata alla futura sposa portandole in dono miniature di fiori in argento come augurio per l'anno nuovo e auspicio per prossime nozze. Presso alcuni centri come Rapino e Guardiagrele ogni membro della famiglia dello sposo portava un regalo d'oro alla ragazza: il padre l'anello, la madre la collana tipica e la sorella o la nonna gli orecchini. In alcuni casi i parenti dello sposo si accordavano per regalare un coordinato di gioielli comprendente collana, anello, orecchini, spilla e bracciale. Tra tutti questi oggetti quello più prezioso restava la collana a pettorale altrimenti detta "petto d'oro" che la suocera regalava alla futura nuora una settimana prima delle nozze affinché la indossasse sull'abito nuziale. In molti casi essa veniva tramandata da una generazione all'altra e la nuova proprietaria finiva per personalizzarla con l'aggiunta di nuovi elementi simbolici e decorativi come catenelle, pendenti o placche di varia fattura. Il modello più classico era costituito da più catenelle collegate tra loro tramite presentose o medaglioni vari. A L'Aquila i diversi strati di catenelle indicavano i passaggi generazionali che la collana subiva nel tempo. In assenza di figli maschi la collana spettava alla figlia femmina, se unica, oppure veniva divisa tra le diverse figlie, ridotta a pezzi.
A Pescocostanzo quando la sposa entrava nella sua nuova dimora, cioè la casa dello sposo, doveva schiacciare un uovo con il piede mentre la suocera le dava il benvenuto mettendole al collo una collana di grani d'oro con ciondolo in filigrana, la cosiddetta "cannatora". Nella zona teramana invece veniva donata una collana di corallo che aveva proprietà apotropaiche e funzione propiziatoria per una fertile unione.
La "cannatora" (da gola=canna) è una collana a girocollo formata da una serie di sfere ovali vuote lavorate a sbalzo. In alcuni casi alla cannatora è aggiunto un medaglione sempre in filigrana e della stessa lavorazione della collana che spesso ha al centro un'applicazione in corallo, altre volte è possibile trovare in aggiunta la presentosa. Le sfere possono essere di diversa fattura: stampate a sbalzo col punzone ovale, "paternostre", "lisce a vache" o "pumbijane", sfaccettate, "senachele".
Riguardo all'anello nuziale l'unico centro ad averne conservato memoria sembra essere Scanno. Gli anelli erano di due tipi: il più antico era un modello classico con le due mani congiunte su un cuore; l'altro presentava un castone rettangolare spesso contornato da filigrana a margherita chiamato "cicirchiate". Questo anello era tipicamente maschile e veniva tramandato da padre in figlio.
Le donne sposate invece portavano anelli che servivano a fermare la fede nuziale. A Castiglione Messer Marino (TE) sono stati ritrovati diversi tipi di anelli con castoni a placca circolare, a cuore, a fiocco oppure con paste vitree che richiamano modelli di oreficeria barbarica.
Oltre ai gioielli veri e propri e agli utensili, grande diffusione nell'oreficeria tradizionale abruzzese era rappresentata da ciondoli e medaglie da utilizzare per allontanare le influenze negative (amuleti) e per attrarre quelle benefiche (talismani), di norma d'argento, riservati all'infanzia, al mondo femminile e maschile, specifici contro particolari malattie. I bambini venivano muniti di medaglie e ciondoli chiamati "protezioni" e di campanelli che, con il loro suono dovevano allontanare gli spiriti cattivi. Questi oggetti venivano fissati sulle fasce, sugli abitini o sospesi sulle culle. Uno dei più antichi e diffusi è: la "Tasciole", composta da un ciuffo di peli di tasso trattenuto da un cappuccio d'argento. Molto diffuso a Pescocostanzo e nel teramano, è un potente rimedio contro le streghe e il malocchio perché la strega, molto curiosa, si ferma a contare i peli del tasso anziché danneggiare il bambino.
In alcune zone, come a Pescocostanzo, gli amuleti venivano applicati dietro la schiena del bambino, sulla scapola sinistra, bene in vista, invece a L'Aquila erano posti a contatto diretto col corpo sotto la camicia, sulla spalla sinistra. La parte sinistra è la parte del cuore, quella più delicata e sensibile e perciò più bisognosa di protezione. Alla categoria dei sonagli infantili appartengono le "ciambelle" e i "tarallucci" sono sonagli costituiti da un anello in argento, realizzato con la fusione, munito di catenella di sospensione con al centro un sonaglio a bottone. Quest'oggetto aveva triplice funzione: la ciambella serviva a favorire la dentizione del neonato, il campanellino teneva lontani influssi negativi rallegrando, con il suo tintinnio, il bambino. "Trombette, ciufelle o ciuffelette" erano amuleti giocattoli destinati ai maschietti, le "Cambanelle" a forma di campanella decorate ad incisione con simboli religiosi e floreali erano donate alle bambine.
Il "Cavalluccio" era un amuleto dalla forma di animale fantastico simile ad un unicorno con sonagli a bottone, legato, tramite una catenella, al corpo del bambino che lo utilizzava come giocattolo. Un potente scaccia-streghe era quello formato da una campanella d'argento, una ciambella in osso per le gengive e un ciuffo di peli di tasso oppure un ciuffo di peli di tasso a cui si aggiungevano diverse medagliette o Il "tredici" , una medaglia centrale raffigurante un tredici alla quale erano sospesi, per mezzo di catenelle, altri tredici ciondolini come il cane che rappresentava la fedeltà, il pesce la vitalità, la scrofa l'abbondanza, il cornetto il contro-malocchio, la lepre la fertilità, la campanella la cacciata degli spiriti che veniva donato al neonato a scopo protettivo.
Altri amuleti erano le zanne di cinghiale in argento, usati soprattutto da pastori e cacciatori che lo tenevano in tasca o appeso al panciotto, la "Pietra di fulmine", punta di freccia preistorica in selce montata in argento appeso al collo di contadini, pastori o carrettieri come protezione dai fulmini, la "manfica i ficarelle" che ripropone l'antico gesto di scongiuro che consiste nel chiudere il pugno mostrando il pollice stretto tra indice e medio o che stringe una freccia alludendo al legame amoroso oppure una rappresentazione fallica, come un germoglio, o anche un serpente.
I "cornetti" sono l'amuleto più diffuso ancora oggi. Possono essere d'oro o in corallo montato in oro, più rari sono gli esemplari in madreperla, mentre le "Protezioni" sono medagliette che raffigurano i Santi protettori (San Donato protegge dall'epilessia, Maria Immacolata a protezione delle giovani donne, Santa Lucia protettrice della vista, Sant'Antonio da Padova per i fanciulli, San Benedetto per i lavoratori) che venivano appese a catenelle o cucite sugli abiti a scopo apotropaico oppure sospese sulle culle per allontanare influssi malefici.
Ancora oggi nei centri storici di Scanno, Pescocostanzo, L'Aquila, Guardiagrele, Sulmona, i "mastri orafi" abruzzesi ripropongono dentro le loro secolari botteghe, splendidi esemplari di oreficeria tradizionale, apprezzati in ogni parte del mondo. A Calascio (AQ) si lavora per l'allestimento di una novella scuola di oreficeria con l'obiettivo formare le nuove generazioni perché possano imparare a lavorare pietre preziose e nobili metalli che sapranno raccontare storie millenarie.