Descrizione
"Così presi un corno e cominciai a suonare e fuori dalle valli e dai canaloni uscirono moltissimi uccelli, come aquile falconi sparvieri, gavinelli e corvi. Tutti volavano intorno al sasso e mostravano quasi meraviglia a sentire suonare sulla cima dove a volte passa anche trenta o quarant’anni senza che vi salga persona... Mirand' all'intorno pareva ch'io fussi in aria... "
È il racconto della prima ascensione al Gran Sasso del capitano Francesco De Marchi che, dopo almeno tre tentativi nell’arco di 32 anni, il 19 agosto del 1573 riuscì a salire sull’ultimo picco del Monte Corno.
"Diretto e prodotto da Luca Cococcetta, con la sceneggiatura di Marco Zaccarelli e le musiche di Ettore Vozza, il documentario è stato realizzato da Visioni Future con il fondamentale contributo del Club Alpino Italiano e della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo. Presentato al Trento Film Festival 2024, racconta una vicenda che anticipa di oltre due secoli la prima salita al Monte Bianco, segnando così un nuovo capitolo nella storia dell’alpinismo. Il film segue fedelmente le cronache lasciate da Francesco De Marchi, ingegnere e avventuriero bolognese al servizio del Duca di Firenze (interpretato dall'attore Massimo Poggio), che nel XVI secolo si spinse sulla vetta del Corno Grande con un piccolo gruppo di compagni. La sua non fu un’impresa motivata da necessità militari o economiche, bensì dalla pura curiosità: un gesto che precorre lo spirito dell’alpinismo moderno. Attraverso una combinazione di fiction e documentario, Monte Corno ricostruisce la salita con scene girate direttamente sul massiccio del Gran Sasso, senza l’ausilio di controfigure o ambientazioni in studio.Ad affiancare la narrazione cinematografica, intervengono figure di spicco come l’alpinista Hervé Barmasse, il giornalista e storico dell’alpinismo Roberto Mantovani, il geologo Mario Tozzi e lo scrittore Stefano Ardito, che approfondiscono il contesto storico, geografico e ambientale della vicenda.Oltre alla ricostruzione dell’impresa di De Marchi, il film affronta tematiche attuali legate alla montagna, come l’evoluzione del Ghiacciaio del Calderone – il più meridionale d’Europa – e il ruolo del Gran Sasso nei commerci tra L’Aquila e Teramo nel XVI secolo. Attraverso immagini spettacolari e riprese immersive, il documentario evidenzia anche i mutamenti climatici che stanno trasformando il paesaggio appenninico." (Lo Scarpone, Portale del Club Alpino Italiano)

Per questo splendido docufilm il regista aquilano Luca Cococcetta ha ricevuto il il premio del pubblico al Trento Film Festival per il “Miglior film di Alpinismo”, il premio come miglior documentario al al Ponza Film Festival e al Madonie Film Award di Palermo, una "Menzione speciale" al Sestriere Film Festival, al Mountain International Swiss Film Festival, al Verona Mountain Film Festival.
Gli straordinari panorami del Gran Sasso sono protagonisti principali di questo intenso docufim, “intreccio tra fiction in costume e documentario, in un dialogo di cinque secoli tra passato e presente, un viaggio in un tempo arcaico dell’alpinismo. Il Gran Sasso e la sua storia, hanno avuto un’incredibile visibilità nel Festival più prestigioso al mondo dedicato alla montagna…” (Luca Cococcetta)
"Hora descriverò e disegnerò un Monte che è detto Corno, il quale è il più alto che sia in Italia, et è posto nella Provincia d’Abbruzzo... qui vi nasce un’Herba sotilissima e spessa, ma non cresce più di un mezo dito, ma è foltissima ed ingrassa le pecore assai; e quest’è per il mezzo giorno...
... Addunque questo monte è veramente il più alto e il più orrido di tutti i monti d’Italia perche sendo alla cima si vede il Mare Adriatico, il Ionico, et il Tireno, et se non vi fussero tanti monti trà mezzo si vederebbe ancora il Mar Ligustico. Dico che vi son tali percipitii, che passano cinque miglia dove non. possano andar Huomeni, ne Annimali se non Ucelli; dicendo che Chi lassa cadere una pietra giù per una di quelle vene che per piccola ch’ella sia ne muoverà tante de l’altre che faranno un Tuono per un’hora che parerà cosa orrenda e spaventosa. […] quando l’huomo arriva fuori dove l’aria si vede li par essere uscito dalle tenebre, di modo che chi andarà in questa Grotta o profonda tomba li parera d’essere nelle tenebre, et chi andarà in coma del Corno Monte gli parrà andar sopra le nuovole.
Questa piana tra altissimi monti fa un bellissimo vedere. Quando i pastori vi sono con gli animali a pascolare, par esser uno esercito grossissimo a vedere tante capanne e tante tende, massime la sera quando tutte hanno acceso i fuochi.» (Francesco De Marchi, Il Corno Monte)
Fu l'ingegnere bolognese Francesco De Marchi con Diomede di L'Aquila, Cesare Schifinato di Milano e Simone e Giovanpietro Di Giulio, Francesco Di Domenico, tre cacciatori di camosci come guide a conquistare per la prima volta la vetta occidentale del Corno Grande del Gran Sasso d'Italia il 19 agosto del 1573. Il grande alpinista e speleologo aveva 69 anni e la sua impresa e da più di trentadue anelava di raggiungere quella vetta.

Il giorno successivo all'impresa l'alpinista speleologo esplorò la Grotta a Male ad Assergi, arrivando fino al fondo del laghetto e incidendovi le sue iniziali. Grotta a Male viene considerata la prima grotta in Italia ad essere esplorata nel senso speleologico del termine. La descrizione della grotta la si può trovare sul trattato scritto da De Marchi: Trattato di Architettura Militare. Il giorno seguente 20 agosto 1573, trovandosi ancora a Sercio (l’attuale Assergi), insieme con molte persone dotate di torce "a vento", si avventurò all’interno di una Grotta già conosciuta dall’uomo preistorico, ma mai documentata.
«In questa oscurissima Grotta precipitosa si vede figure d’huomeni fatti dalla natura, altre d’animali, et altri di serpenti, ma Colone, Candele, e Torcie, e lastroni infiniti. Et questo procede dall’acque che colano di continuo.» (Francesco De Marchi)
Una vita piena e avventurosa quella del De Marchi che nei suoi diari avrebbe riportato la sua partecipazione alla battaglia di Pavia nel 1525, l'assedio di Firenze nel 29-30. Entrato al servizio di Alessandro de' Medici, alla sua morte rimase fedele alla sua vedova, Margherita d'Austria e, al suo seguito fu più volte in Abruzzo. Nel 1535 si immerse con l'aiuto di un rudimentale scafandro nel lago di Nemi alla ricerca delle navi sommerse di Caligola.