Descrizione
Grande Madre degli esseri viventi e dei raccolti, Dea creatrice, Signora della Vita e della Morte: in piedi a braccia aperte, a piedi nudi e capo coperto.
Indossa una veste di lana che le arriva fino alle caviglie, lasciando scoperti i piedi e un ampio mantello più corto, spaccato e ricucito sui gomiti. La mano destra regge un oggetto tondo su cui sono incise tre spighe o ramoscelli, identificabili con una focaccia o con una pisside, la mano sinistra è aperta e rivolta verso l'alto: è la Dea di Rapino, che rappresenta una statua di culto della dea madre, di una sacerdotessa, come indica la focaccia con la spiga che regge o una devota intenta a fare una offerta o la divinità Ceria Iovia della tavola di Rapino.
Al Museo Archeologico Nazionale La Civitella fulcro dell'installazione dedicata alla Grotta del Colle di Rapino, l'antro sacro della Maiella, è la straordinaria statuetta in bronzo del III sec. a.C. , la cosiddetta dea di Rapino, rinvenuta, insieme ad una lamina bronzea in dialetto marrucino, nei pressi del Santuario italico e chiesa rupestre della Grotta del Colle di Rapino (CH), abitata sin dal paleolitico superiore e frequentata ininterrottamente nel periodo neolitico e dell’età del bronzo. Ancora oggi le "Verginelle" raggiungono il santuario campestre, depositano fiori sotto la Madonna del Carpino, invocando la benedizione nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza.
Secondo la leggenda a Rapino viveva una regina arrivata da molto lontano, forse Ceria, Giovia, forse Maia, la Grande Madre, la più bella delle Pleiadi seguita da uno stuolo di amazzoni, le Majellane. Il tintinnio delle gigantesse si poteva udire da lontano, agli orecchi indossavano le "sciacquajje", orecchini d'oro a cerchio, a conocchia, con uno o più pendenti, d'oro con rubini, d'oro a lumaca, formati da perle o da chiodini sagomati, a volte con volto umano raffigurato nella parte centrale che gli artisti abruzzesi di fine ’800 inserirono costantemente nei loro dipinti.
Maja, fuggita con il figlio, o secondo altre leggende con un giovane amante ferito a morte, dalla Frigia e arrivata al porto di Ortona, si inerpicò sulle montagne d'Abruzzo cercando la salvezza dai nemici, ma, perduto l'amato figlio, che seppellì sulla terza vetta del Gran Sasso, fu colta da una sofferenza insopprimibile che la portò alla morte. I monti d'Abruzzo che accolsero le sue spoglie ebbero il nome di Majella. Sulle grotte della Majella vissero per molti anni le gigantesse al suo seguito. Praticavano antichi culti ed erano devote al fiore magico di maggio " lu majie", il profumato e delicato maggiociondolo.
Nella Marsica, i cristiani trasformarono nella devozione a San Pelino il culto della Dea Pale, la dea dei confini, della Natura, della pastorizia, protettrice contro gli incendi e i predatori. A Secinaro nelle feste a lei dedicate ardevano grandi falò e venivano purificati gli armenti e le greggi col fuoco e con l'acqua aspergendoli con un ramo di albero dicendo "Benedici la mandria e perdona se a volte siamo entrati nei boschetti a te consacrati e, ignorando il tuo nome, abbiamo tolto foglie al ramo per una pecora malata; perdona se le bestie intorbidarono involontariamente l'acqua chiara della tua fonte ".
Ad Angizia, sorella di Circe e di Medea, che dimorava sulle rive del Fucino, era attribuito il potere di uccidere i serpenti con un solo tocco ed incantarli col suo canto. Angizia, che aveva il dono della predizione e dei contatti con il mondo degli spiriti, era raffigurata con la mano sinistra in alto che stringeva un serpente. La festa dei serpari di Cocullo sarebbe derivata dal suo culto e dalle arti apprese da Marso, figlio Circe e nipote di Angizia.
A Santa Maria Arabona, frazione di Manoppello (PE), sorgeva il tempio romano dedicato al culto della Dea Bona o Bona Dea che assicura la prosperità e predice alle donne il futuro. Il nome «Arabona» deriverebbe proprio da latino ara "altare" e Bona. Sui resti di tale tempio si erge l'abbazia di Santa Maria Arabona. La dea sarebbe stata la moglie di Fauno, amorevole e dedita alle arti domestiche, uccisa da vergate di mirto dal consorte per essersi ubriacata.
A Cansano (AQ) sono state rinvenute tracce del culto di Persefone e Demetra, a Superaequum era praticato il culto della dea Fortuna accanto a quello di Venere.
A Campli (TE) visse Ernestina Di Pompeo, la strega curatrice. Nata nel 1598 crebbe in una modesta casetta a Giulianova, aiutando il padre pescivendolo finché, aiutata dalla zia ostetrica, imparò le arti dell'alchimia e della farmacia curando moltissime persone con le sue pozioni e misture di erbe. Accusata di stregoneria, fu condannata a morte a soli 21 anni dal Santo Uffizio, chiusa in carcere, spogliata, torturata, processata, separata dalla figlia. La sentenza la accusava di essere "Malissima donna e tiene nome di pubblica fatucchiera, donna di malissima vita!" e, dopo pochi anni anche la figlioletta subì la stessa sorte".