Descrizione
La sera del 16 gennaio del 1799 avvenne il miracolo: il bosco di Fara fuoco bruciò al tramonto e gli alberi assunsero l’aspetto di enormi guerrieri di fuoco.
Tra il 1798 e il 1799 le armate francesi, arrivate in Italia sulla scia della Rivoluzione, avanzavano a grandi passi lungo la penisola. Verso il mese di dicembre del 1798 sono alle porte dell’Abruzzo, e più precisamente nel territorio teramano di Civitella del Tronto. Le truppe francesi non temono l’esercito borbonico che tenta di resistere e senza grandi difficoltà avanzano verso sud. Il giorno della vigilia di Natale di quell’anno entrano a Chieti. L’entroterra della provincia teatina organizza una resistenza che culminerà nell’eccidio di Guardiagrele, sulla cui strada si trova Fara Filiorum Petri e dove gli abitanti attendono, barricati nelle case, l’invasione dei nemici.
All'epoca Fara era protetta da un grande querceto che si estendeva fino a coprire interamente la c.da Colli. Venendo da Bucchianico verso Guardiagrele i Francesi volevano occupare Fara ma l'apparizione di S. Antonio nelle vesti di un generale li fermò. Il santo intimò alle truppe di non oltrepassare la selva ed al loro diniego trasformò gli alberi in immense fiamme che scompigliarono i soldati. I Francesi preferirono quindi non entrare nel paese e dirigersi verso altri centri. I Faresi attribuirono questo prodigio all'intercessione di Sant'Antonio Abate e da allora, quel miracoloso incendio viene simbolicamente ricreato ogni 16 di gennaio, con l'incendio delle Farchie enormi fasci di canne con una circonferenza di oltre un metro e un’altezza che a volte supera anche i dieci e che devono il loro nome alla parola di origine araba afaca, ossia torcia.
L’uso del fuoco come elemento simbolico nei riti legati al culto di Sant’Antonio Abate è comune in tutto il Mediterraneo, ma le farchie di Fara si distinguono per l’imponenza delle costruzioni, per la grande partecipazione di popolo che accorre ad assistere alla manifestazione.
Questa tradizione affonda le sue radici nei rituali agricoli precristiani e trae origine probabilmente dal culto del fuoco sacro, rito di purificazione e rinascita, celebrato dalle popolazioni rurali dell’Abruzzo antico, che poi ha trovato nuovo alimento in una vicenda storica di cui la tradizione popolare si è appropriata.
Durante le fredde serate di gennaio ci si raduna per costruire i giganti. Nelle prime ore del pomeriggio del 16 gennaio, le contrade cominciano a trasportare le farchie davanti alla chiesetta dedicata a Sant’Antonio. Un tempo venivano portate sui carri mentre oggi si usano i trattori, ma l’atmosfera di festa è sempre la stessa, in grado di coinvolgere adulti e bambini. Numerosi suonatori di organetto che cantano le orazioni di Sant’Antonio, accompagnano la fase di preparazione della festa. Con l’aiuto di funi, davanti alla chiesa, vengono innalzate le farchie a cui si dà fuoco, mentre scoppiano i mortaretti inseriti al loro interno.
Quando scende la sera, le torri di canne accese offrono uno spettacolo indimenticabile.
La serata trascorre tra canti, balli e momenti di grande allegria, durante i quali si degustano vino e biscotti. Quando il fuoco ha consumato quasi tutte le canne, la festa continua in ogni contrada, dove gli abitanti si radunano intorno ai resti della propria farchia e ne raccolgono i tizzoni spenti per conservarli come reliquie.
Per la festività viene preparato un dolce tipico: il Serpentone, dedicato al Santo.
"La preparazione delle farchie inizia il 12 gennaio. La prima fase consiste nel preparare l'anima della farchia che funge da spina dorsale della farchia vera e propria. Successivamente, si effettua il “rinfascio”, cioè con le canne più lunghe e dritte si ingrossa il diametro sino a raggiungere la dimensione finale. I due-tre uomini più esperti si occupano della legatura del legame: momento questo che richiede forza e grande maestria perché dal modo in cui è legato il legame dipende la stabilità e la bellezza della farchia. La perfezione tecnica della farchia risiede nell'unione di più caratteristiche: la verticalità, il giusto allinearnento dei nodi, l'assenza di rigonfiamenti, la grandezza, la corretta sistemazione della singola canna in modo che appaia all'occhio dell'osservatore come unica dal capo (il “piticone”) alla coda (la “cima” o "fiocco") della farchia. Quest'ultima caratteristica si ottiene apportando con canne più grandi giunture successive alla prima canna che parte dal “piticone”.
Le donne della contrada, durante la fase di preparazione, assistono gli uomini e cucinano per loro il pasto di "Sant'Andone", il tutto innaffiato dal buon vino locale.
Il giorno 16 gennaio dalle contrade più lontane partono trattori decorati con sopra le farchie, Fara centro, Madonna del Ponte, S. Antonio Abate ed il Giardino le portano a spalla. La partenza della farchia di Fara Centro è preceduta dal canto delle Litanie.
I contradaioli scaricano la farchia poggiandola sul suolo e quindi, al comando di un uomo chiamato "capofarchia" la innalzano in piedi. Quando tutte le farchie sono alzate si dà inizio all'incendio. Alcuni mortaretti incendiano la sommità come una grande torciae a detta dei partecipanti la perfezione tecnica viene alla luce solo dopo che è innalzata. La verticalità, il giusto allineamento dei nodi, la corretta sistemazione delle canne per evitare rigonfiamenti o torsioni, sono i requisiti principali di giusta maestria nella costruzione della farchia, messi in relazione con le dimensioni metriche.
Mentre i falò rischiarano la notte, offrendo uno spettacolo indimenticabile, i cittadini ed i visitatori festeggiano con canti e musica della tradizione popolare abruzzese, buon vino e piatti tipici. Sono sedici le contrade che partecipano alla grande festa" (http://www.comunefarafiliorumpetri.it/)
Per il 2024 il magico fuoco dedicato al liberatore della Città rivivrà in località Colle Selva, laddove avvenne il miracoloso evento, alle ore 17.00.
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