Descrizione
Tra cagionetti, sfogliatelle, torroni, torcinelli, ferratelle o ne(v)ole che dir si voglia, nell’abbondanza dei giorni di festa del periodo natalizio la tradizione regionale trova il suo compimento nel Parrozzo, dolce simbolo d’Abruzzo inserito dal Ministero dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali (PAT), apprezzato anche nel resto d’Italia ed esportato in tutto il mondo.

L’idea di proporre, nei primi anni del ‘900, una versione dolce del cosiddetto pane rozzo di tradizione contadina, si deve al maestro pasticcere pescarese Luigi D’Amico il quale, per mantenere il profilo a pagnotta, utilizzò uno stampino di forma semisferica. Lavorò poi un impasto di tuorli d’uovo e farina di mandorle per riprodurre il colore giallo del granturco; infine, per simulare le bruciature della crosta del pane cotto a legna, ideò la colata di cioccolato fondente.
Quello che ne uscì fuori fu un dolce di singolare, fragrante ed infinita squisitezza, reso unico ed ineguagliabile grazie anche al geniale nome datogli dal poeta Gabriele d’Annunzio, che gli donò pure un sonetto in dialetto. Una specialità che secondo Pierluigi Francini – il nipote di Luigi che oggi ne rinnova la tradizione – trova la sua armonia nei contrasti; a cominciare dal gusto, amaro nella copertura e dolce nell’impasto; per proseguire con la consistenza, dura fuori e morbida all’interno; fino al colore, scuro all’esterno e chiaro dentro.

Tornando alla storia, il successo straordinario indusse il suo ideatore a dedicargli uno spazio apposito. Fu così che nel luglio del 1927, pochi mesi dopo la costituzione della Provincia di Pescara, in piazza Garibaldi, a due passi dalla casa natale del Vate, si inaugurò il Ritrovo del Parrozzo, storica sala da tè, bar e caffè della città. Luigi D’Amico, scrivendo proprio a d’Annunzio, così gliela descrive: «[…] L’arredo è di gusto squisitamente ed essenzialmente nostro: abruzzesi i mobili nella sagoma e nello stile; abruzzesi i pannelli decorativi della prima sala dovuti a Tommaso Cascella, artefice illustre; abruzzesi le ceramiche incastonate negli armadietti; abruzzesi le stoffe pesanti che vestono lo zoccolo della prima sala; abruzzesi i piccoli e policromi tappeti che coprono i tavolini bassi ed eleganti».
Abbandonata da tempo la sede originaria per un nuovo locale aperto nella zona sud della città, oggi degli arredi originali restano soltanto le splendide sedie ed i tavolini intarsiati opera dell’architetto bolognese Melchiorre Bega. Tuttavia nelle Salette Dannunziane al piano superiore è possibile visitare una interessante ed insolita mostra permanente di fotografie e dediche autografe; una eterogenea collezione di testimonianze originali di alcuni dei clienti più importanti e prestigiosi, a cominciare dall’onnipresente d’Annunzio, la cui storica e primigenia dedica è stata riprodotta anche sulla confezione dal taglio esagonale che caratterizza il prezioso dolce, disegnata e colorata dal ceramista pescarese Armando Cermignani, che nel dopoguerra diventerà prefetto della città e senatore della Repubblica.
Curiosando tra i cimeli visitabili gratuitamente è divertente perdersi tra le parole ed i versi di artisti ed avventori entusiasti, dalla simpatica imprecazione “Mannaggia a lu parrozze a cuscì bone” del pittore Michele Cascella, al pensiero della poetessa e narratrice Sibilla Aleramo “Pescara dolce paese, dalla pineta al Parrozzo!”; dal ricordo dell’attrice Silvana Pampanini “Delizioso, fine, straordinario, così ho trovato il Parrozzo!”, alla dedica “A Luigi D’Amico che ha inventato il Parrozzo. Luigi Antonelli che non ha inventato niente” del commediografo e critico teatrale nativo di Atri, il quale sul tema scriverà anche “La storia del Parrozzo” e “Il decalogo del Parrozzo”.
Ma anche il compositore Pietro Mascagni, il tenore Beniamino Gigli, la soprano abruzzese Maria Caniglia, gli attori Titina De Filippo, Nino Taranto, Paolo Stoppa, Macario; fino all’omaggio del grandissimo Totò, donato “con tanta simpatia e cordialità”. Tutti conquistati dalla bontà del Parrozzo, «una specie di semidio commestibile nato dalle nozze della Pineta col Mare», così come riportato in un depliant pubblicitario degli anni ’30; consolatorio e dannunziano usbergo contro le amarezze della vita, da gustare senza riserve tenendo sempre presente – decalogo alla mano – che «la prima fetta è ancora per l’appetito, la seconda per la delizia, la terza per la voluttà».